sabato 19 giugno 2010


Una partita al sapore di suya e porzioni di riso jollof
Il match dove Africa e Sudamerica si fronteggiano tra gli immigrati di Castelvolturno La suya, spiedino di carne impanato con arachidi e kuliikuli in polvere, arrostisce dalla mattina sul girarrosto in metallo. Anthony, 29 anni è il titolare di un piccolo pub che ospita per le partite di Coppa del mondo una piccola fetta di immigrati di Castelvolturno. «Mondiali sotto le stelle Sudafrica 2010» recita il banner sull'insegna esterna del locale. Ai lati, le bandiere di Nigeria, Ghana, Camerun, Costa d'Avorio che colorano il cemento della cittadina casertana. C'è pure quella italiana. «Sono qui dal 1986, tengo al vostro paese. Scusami per la fretta, c'è la partita». La sua Nigeria prova a sfilare il drappo rosso sotto gli scarpini di re Diego e dell'erede Messi. Un'ora prima sono pronti tavoli, sedie e il videoproiettore. La partita si guarda all'esterno se il sole continua a latitare. «Siamo le Super Aquile, possiamo volare - sorride - abbiamo atteso anni un evento che mostrasse l'Africa attiva e viva, che non chiede la cancellazione del debito e le cure per i bambini malati di Aids. La nostra classe politica sfrutti questa possibilità». Il sole fa capolino, si spostano all'interno del pub gli immigrati del centro accoglienza Fernandez che, assieme all'associazione «Black White», riesce a portare davanti alla tv un frammento calcistico di Africa occidentale. Il locale, tra canti e cori, è infuocato come la suya. I nigeriani cantano l'inno. Sperano di ripetere l'impresa del Camerun che, a Italia '90, stupì l'Argentina di Maradona e il calcio mondiale. «Se andiamo in vantaggio, vinciamo», ripeteva come un mantra Ezequiel, 35 anni, laureato in economia e commercio, tifoso del Milan e ammiratore di Gattuso. Lui è uno di quelli che hanno sfondato in Italia. Lavora in fabbrica, ha il permesso di soggiorno. Entusiasta dei balli e canti della cerimonia d'apertura mondiale, di Shakira, spiega di sostenere anche Ghana, Costa d'Avorio e Camerun perché «noi dell'Africa occidentale abbiamo caratteri e culture simili». Il vantaggio argentino spegne gli entusiasmi e i sorrisi bonari per la cravatta perlata del fresco sposo Maradona. La Nigeria reagisce ma la Pulce spesso si trasforma in alieno. «Messi è una furia», sospira Anthony. Nella tensione generale spicca il viso rilassato di Appiah, 29 anni, ghanese di Accra, che si gusta la suya e il riso jollof, altra leccornia nigeriana. Per lui è già una festa assaggiare le partite mondiali assieme ai suoi fratelli, «ma vorrei veder qui i residenti di Castelvolturno. Una partita di calcio può farci conoscere e non viver più da esuli». Sulla sua nazionale attesa all'esordio contro la Serbia è pessimista: «abbiamo perso calciatori importanti». Il secondo tempo per i nigeriani è una sofferenza. Che diventa rassegnazione quando Uche fallisce il pareggio. Si abbracciano a fine gara, consolandosi con una birra gelata. «Potevamo pareggiare, ma andiamo avanti - dice Anthony - In caso di semifinale, tutti invitati a una festa con balli e canti nigeriani». E la suya, s'intende.

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